Il lavoro nasce dalle immagini fotografiche di fine ‘800 e inizio ‘900 per raccontare ed affrontare ciò che è nascosto agli occhi, utilizzando lo strumento pittorico vissuto come portatore di verità esistenziali, spesso invisibili alla mente umana. I supporti sono tele, sovente di grandi dimensioni.

(…) L’atto creativo equivale a quella “creazione” che molti preferiscono delegare alla responsabilità di un Altro, e che invece senza retorica né superbia potrebbe (dovrebbe) essere vissuto da ciascuno – perché no? – nel divenire della pittura (dico pittura perché qui di pittura si tratta, e in essa par proprio riversarsi e darsi riconoscibile la sequenza di sogni e pensieri, soddisfazioni e ripensamenti, concentrazioni e distrazioni, fatiche e riposi che costituiscono la mitologia del creare). Dalle pause, prendono slancio le accelerazioni operative, che non possono essere che brevi, brucianti. Già Spazzapan, per citare uno dei nostri grandi disegnatori anziché i remoti orientali, escludeva l’istinto come motore della sua arte e insisteva sull’ispirazione, cioè sull’intuizione sostenuta dalla coscienza (…).

Pino Mantovani, estratto critico per la personale alla Galleria Wunderkammer di Torino, aprile 2008.