La ricerca è costituita da disegni e prende spunto da fotografie scattate attraverso le cabine fototessera (fenomeno dal quale originano gli attuali selfie) degli anni ’60.
Sono disegni di dimensioni circa 50x40cm, eseguiti prevalentemente con tecnica mista e incentrati sulla ricerca di un linguaggio personale.
Il segno è incisivo, il tratto è decisivo e senza ripensamenti e lo studio si basa sulla forza e necessità espressiva che è anche indagine esistenziale.

Le opere di Elisa Filomena indagano l’equilibrio dell’essere umano con la natura. Attraverso una ricerca che analizza l’attualità iniziando sovente da immagini del passato, l’autrice si muove nel differenziato mondo dell’innaturale, dove certi equilibri sfondano il confine del veritiero e rimandano a sensazioni visionarie d’intesa tra mondi apparentemente non comunicanti. Tali elaborazioni, che da un certo punto di partenza si snodano verso altre trasposizioni, sono un sentore vivido della complessità del vivere, anche quando si cercano comunanze con altre persone che s’incontrano nel tragitto esistenziale. L’autrice cura perciò un’attestazione che travalica l’individualità e si fa messaggero esemplificativo dell’emotività che attraversa l’essere in tutte le proprie trasmissioni mondane e non. Lo stato d’animo diventa perciò il centrale fenomeno percettivo dell’esistenza. Le vivide suggestioni che arrivano da lontano raccontano di coppie che si baciano o interagiscono tra loro, o di donne e uomini che affondano nella parte più oscura che l’artista non manca mai di lasciar trapelare. Con una pittura alla prima che non prevede ripensamenti, istantanea e difficile, che si forma sul togliere con una sintesi che rimanda al lascito di un’impronta com’è di fatto quella mnemonica, l’artista indaga i meandri dell’intimità lasciando trapelare un’istintività di fondo.

Francesca Baboni & Stefano Taddei, estratto critico della mostra Terzo Stadio alla Galleria d’Arte Contemporanea, Palazzo Ducale di Pavullo nel Frignano (MO), 2018