Pittura lingua viva. Parola a Elisa Filomena
Viva, morta o X? 42° appuntamento con la rubrica dedicata alla pittura contemporanea in tutte le sue declinazioni e sfaccettature attraverso le voci di alcuni dei più interessanti artisti italiani: dalla pittura “espansa” alla pittura pittura, dalle contaminazioni e slittamenti disciplinari al dialogo con il fumetto e l’illustrazione fino alla rilettura e stravolgimento di tecniche e iconografie della tradizione.
Elisa Filomena (Torino, 1976) è diplomata in Pittura all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. Tra le mostre recenti la personale Diario Notturno, Circoloquadro arte contemporanea, Milano, 2019, e la collettiva Selvatico (tredici), Fantasia/Fantasma. Pittura tra immaginazione e memoria, Museo Civico Luigi Varoli, Cotignola, 2018. Ha inoltre esposto in personali e collettive nei seguenti spazi espositivi: Ferrovie Creative, Carpi, 2019; Galleria Zaion, Biella, 2019; Ridotto del Cinema De Seta, Cantieri Culturali alla Zisa, Palermo, 2019; Palazzo Ducale, Pavullo nel Frignano, 2018; Kommunale Galerie, Mörfelden-Walldorf, Francoforte sul Meno, 2018; Museo Tornielli, Ameno, 2018; MARS, Milano, 2018; Galleria Tino Ghelfi & L’Officina Arte Contemporanea, Vicenza, 2017; Libreria Bocca, Milano, 2017. È stata selezionata per diversi premi tra cui: Premio Combat, 2018; Premio Vittorio Viviani, 2018; Premio Carlo Bonatto Minella, 2011; Premio Cesare Pavese, 2008.
Come ti sei avvicinata alla pittura?
Fin da quando mi ricordo, disegnavo sulle pareti, dietro i tappeti… ma anche sui fogli normalmente! Poi sono arrivati il liceo artistico, l’Accademia Albertina di Torino cui aspiravo da sempre. La volontà e il tormento creativo si sono mescolati a tutto questo con gli anni.
Quali sono i maestri e gli artisti cui guardi?
Da sempre ho avuto l’opportunità, con la mia famiglia, di visitare tanto del patrimonio artistico che abbiamo in Italia e in Europa. Ricordo una visita al Duomo di Orvieto con mio padre e ho Signorelli negli occhi. Ricordo che nel 1998 sono andata a Tulln, città di Egon Schiele, di cui ero follemente innamorata. La sua casa natale era sopra la ferrovia della città: suo padre era capostazione. Ogni volta che sentivo il treno passare, sentivo Egon vivo accanto a me. Negli anni ho creato un bagaglio di esperienze cui faccio riferimento in ogni istante, nonostante sia sempre in continua ricerca. Recentemente mi è capitato di leggere Night studio di Musa Mayer, e ho vissuto Philip Guston. Attualmente seguo i miei contemporanei. Sento che vi è un forte legame tra pittori diversi tra loro, un legame che segna il periodo attuale.
Cosa rappresenta per te il disegno?
È la forma meno ingannevole per capire un’opera. Il disegno non mente e non dà sconti di nessun tipo. Collega perfettamente il pensiero alla mano, è di natura alta. Fin dall’inizio ho disegnato, ma vi è stato un lungo periodo in cui il disegno è stato al servizio della pittura. Questa eccezione è terminata quando, dopo un periodo di crisi, il disegno è arrivato a me di nuovo senza che io lo cercassi. Avevo 38 anni e ho cominciato a disegnare ogni giorno e notte. Da lì la mia rinascita artistica. Il disegno mi ha salvata dalle paure, dai falsi problemi, e ha cambiato per la seconda volta il mio modo di dipingere. Mi ha fatta maturare tanto.
E come dialoga la fotografia con la tua pittura?
Purtroppo la utilizzo con voracità come punto di partenza per fini pittorici. Una fotografia mi colpisce se trovo in essa degli sbocchi pittorici adeguati al momento in cui mi metto al lavoro. Seleziono ciò che può essere utile ai fini dell’opera, la stravolgo e la filtro. È uno strumento fondamentale che mi dà stimoli e da cui emergono pensieri. Mi sento guidata dalla pittura in questa ricerca. Tratto male la fotografia, lo so, ma a un buon fine. A volte non la utilizzo però. Dico: Basta! È già tutto proiettato sul bianco della tela!.
Come si è trasformata nel tempo la tua pittura?
Avendo superato il periodo della formazione accademica, ho cominciato ad avere modo di vivere pienamente la pittura nella sua forma più intima.
Perché la scelta di un linguaggio prevalentemente figurativo, in particolare ritratti, corpi e paesaggi? E quale il confine trasfigurazione e astrazione?
Non vi è confine. È tutto in colui che poggia lo sguardo sull’opera.
Come scegli i tuoi soggetti e come arrivi alla definizione di una determinata composizione? Nella maggior parte dei casi ritrai figure femminili. Spesso le rappresenti mentre danzano, o sono colte in atteggiamenti intimi, affettuosi, o magari si nascondono sotto un tavolo.
A volte i dipinti li vedo materializzati davanti ai miei occhi, a volte si fanno strada lavorando direttamente sulla tela. Sono dei brevi pensieri, sprazzi atmosferici, immagini che mi conducono. Rappresento tutto quello che hai descritto perché lo sento molto vicino: la danza, per esempio, rappresenta in modo esemplare la vitalità che l’essere umano manifesta nella sua condizione esistenziale.
E, oltre alla danza, il cinema, la musica, la letteratura influiscono sui tuoi immaginari e sulla tua poetica?
Il cinema ha un’influenza costante. Per esempio, i film di Alfred Hitchcock con la musica di Bernard Herrmann mi portano in una situazione di completo rapimento verso la creazione. La musica è uno sprint emozionale, la letteratura è portatrice di immagini. Amo il cinema e i grandi registi sono i miei miti, non potrei vivere senza.
Cosa rappresenta per te il lavoro in studio?
Nel periodo in cui ho cercato di avere uno studio ho finito per abitarci. La pittura è sempre nella mia testa e quando non lavoro concretamente lavoro con il pensiero. Tengo le energie per dipingere la notte. Durante il giorno tutto è finalizzato ad avere la giusta concentrazione per affrontare la pittura di notte, ecco il motivo per il quale lo studio è diventato l’ambiente domestico. La notte, per me essenza fondamentale della concentrazione artistica, diventa un momento atemporale in cui sento più viva la creatività. È stato sempre così dai tempi dell’Accademia.
Cosa invece ha significato, nel 2017, lavorare en plein air in occasione di Landina?
Landina è un progetto creato da Lorenza Boisi, una grande artista che ha la capacità di coinvolgere intellettualmente ed emotivamente artisti lontani geograficamente per creare qualcosa di magico, che ho vissuto con un forte senso di privilegio. Lavorare en plein air è un’esperienza che ti marchia dentro. Landina è stata un’esperienza esplosiva, sia umana che artistica, a cui sono profondamente riconoscente. Per il contatto con il vero e con la natura, ma soprattutto per il contatto con artisti che sono diventati amici.
La tua recente personale da Circoloquadro a Milano si intitolava Diario Notturno. Come è nato il progetto?
Ho partecipato alla open call che Circoloquadro aveva diffuso nel mese di novembre 2018. Sono stata selezionata da Massimo Dalla Pola e Arianna Beretta, persone speciali con cui ho vissuto una delle esperienze più importanti. Circoloquadro è una realtà rara, in cui l’artista può crescere e confrontarsi culturalmente con delle persone che credono fortemente nell’arte. Il progetto è nato dal lavoro che ho svolto negli ultimi due anni sul disegno e sulla pittura. È convogliato nella mostra in maniera fluida. È il diario notturno delle mie notti passate a disegnare. Un diario perché ogni notte ero, e sono, al lavoro, con frenesia e volontà. Il testo critico di Arianna Beretta ha descritto perfettamente il nostro incontro e tutto quello che era successo: il disegno, la pittura, la rinascita di cui ti parlavo. Simbolo di questa rinascita è stato l’incontro con Ivan Quaroni, cui devo tantissimo per la mia crescita artistica. La pittura non è un’esperienza individuale ma collettiva. Ho avuto la fortuna di trovare sul mio percorso delle persone che hanno contribuito attivamente alla mia crescita pittorica, e tuttora è così, anche con i miei colleghi.
Diario rimanda appunto a una dimensione molto personale. Quanto incidono il dato autobiografico, il desiderio di raccontare e raccontarsi nella realizzazione delle tue opere?
In pittura la parte meno conscia, i desideri personali, ciò che sei, viene irrimediabilmente alla luce. Dunque penso che l’incidenza del mio desiderio o necessità di raccontarmi sia parte della pittura, a prescindere dalla mia volontà più o meno esplicita.
E la notte invece cosa rappresenta per te?
La creazione, il rimanere soli con se stessi e avere una visione più completa della realtà. Il canto degli uccelli delle 4 del mattino mi parla di poeti e di aspetti insondabili.
E il tempo, il ricordo, la memoria?
Sono affascinata dal passato. Sapere che sono vissute persone straordinarie che hanno creato opere immortali, pensare che esistono e sono esistiti uomini e donne che hanno vissuto appieno le proprie potenzialità mi dà nutrimento.
Ricollegandosi invece a Fantasia/Fantasma, titolo dell’edizione 2018 di Selvatico ‒ mostra diffusa, a cura di Massimiliano Fabbri, dedicata alla pittura ‒, quali sono le tue fantasie? E i tuoi fantasmi?
Credo che sia tutto dentro di me. Non esistono fantasmi esterni a quelli che mi creo. Il tutto si mescola a un sentire più immaginifico, come nel dipinto La casa è infestata, esposto nell’ultima edizione di Selvatico che citavi. Il dipinto rappresenta due bambine, in questo caso le sorelle Romanov, figlie dello zar Nicola II di Russia, che si nascondono a delle figure azzurre. È un altro aspetto della mia ricerca legata alla natura profonda dell’esistenza umana.
Ci sono formati o tecniche che prediligi?
In pittura sento particolarmente stimolante il grande formato e l’acrilico, che mi dà l’immediatezza del gesto e la continuità di un lavoro svolto in un tempo relativamente breve. L’asciugatura è veloce e posso esprimere al meglio la tensione emotiva nell’atto del dipingere. Nel disegno amo la carta di medio formato con pastelli, grafite, pennarelli. A volte uso direttamente le mani per disegnare colorando solo i polpastrelli con polvere di colore.
La tua è una pittura lenta o veloce?
La pratica del disegno mi ha portata a una pittura veloce e istantanea definita “alla prima” senza ripensamenti o indugi. Questo comporta una tensione e concentrazione molto forte sul momento. Un dipinto deve venire alla luce istantaneamente, deve mantenere una freschezza e una purezza che è data anche dalla necessità di togliere invece che aggiungere. Questa sintesi deriva dal lavoro fatto negli anni passati sulla tecnica e sulla ricerca pittorica. È un dare precedenza in maniera istintuale a ciò che è veramente importante in un’opera, lasciando più libertà al gesto, al segno, all’incisività istantanea filtrato dalla mia persona.
Questa istintività, l’immediatezza del gesto possono avere come conseguenza anche l’errore, l’imperfezione. Come li affronti? Quanto conta la componente aleatoria quando lavori a una tela o a un disegno?
L’errore deve essere affrontato e non nascosto. La componente aleatoria durante il processo pittorico è importante per divertirsi e riscoprire nuove forme di comunicazione. Una pennellata sbagliata può essere fonte di grande ricchezza se la si sa affrontare con creatività e coraggio. Il tutto viene da me vissuto come fonte di ricerca: direziono la pennellata, la concentrazione è giusta, ma la pittura ha sempre qualcosa di inaspettato da insegnarmi. In un mio lavoro tutto il rischio che mi prendo nel modo che sento di lavorare, mi ripaga o con la felicità di essere riuscita a trasmettere ciò che sentivo o mi stupisce per aver imparato dalla pittura qualcosa di nuovo. È molto divertente, ogni giorno si scopre qualcosa di nuovo: per me non potrebbe essere altrimenti.
Hai affermato «La pittura genera pittura». Cosa intendi?
Proprio come dicevo prima, quando lavori costantemente ogni giorno, più o meno consapevolmente, capisci che solo dipingendo o disegnando, nascono nuove idee. La creatività si alimenta con il fare, perché è la pittura che guida il tuo stato. Se sono stanca, e mi metto al lavoro lo stesso, mi rigenero e prendo forza. Da un disegno nascono mille possibilità. Il lavoro si autoalimenta.
E, ancora, dici che col tuo lavoro vuoi raccontare e affrontare ciò che è nascosto agli occhi. Mi piacerebbe approfondire.
Il linguaggio pittorico, come qualsiasi altro mezzo artistico, porta alla luce una dimensione più intrinseca ed estraniante dell’esistenza, indipendentemente dal soggetto o da ciò di cui si parla. È l’arte che traduce e colpisce nel profondo.
Cosa significa fare pittura oggi?
La pittura è un mezzo espressivo atavico, parte inscindibile della natura umana, che trascende e supera il tempo. La domanda la virerei su cosa significa essere artisti oggi. E la risposta è che se sei un artista non puoi fare a meno, con tutte le tue forze, di onorare il compito che hai sulle spalle. Si può facilmente comprendere come sia importante in questa società dare il giusto peso agli artisti.
Cosa pensi della scena della pittura italiana contemporanea?
Quello che ho vissuto negli ultimi anni della mia vita mi ha fatto concretamente capire quanto sia pregna e importante la pittura italiana contemporanea, e questa tua rubrica ne dà ulteriore testimonianza. La pittura di alta qualità c’è ed è viva. Gli artisti stanno lavorando. Sento che vi è un terreno solido su cui instaurare un discorso più ampio. Vi è un grande patrimonio pittorico che sta vivendo e che lascerà il segno.
10 giugno 2019
A cura di Damiano Gullì
Intervista pubblicata su Artribune: